AI LAVORATORI DI GENOVA (12 ottobre 1978)

A Pertini, prima del discorso, rivolsero un indirizzo di saluto Giovanni Agosti, Console della Compagnia portuale ed Enzo Abatello del Consiglio di Fabbrica dell’Italsider.

Lavoratori, mi è un po’ difficile parlare, e voi ne comprendete la ragione, perché tale è la commozione nel mio animo che preferirei raccogliermi in me stesso invece di esternare in pubblico quelli che sono i sentimenti che si accavallano nel mio animo.

Io parecchie volte sono venuto in questa “Sala delle chiamate” e parecchie volte il compagno Agosti mi ha presentato a voi.

Da stamani, da quando mi trovo a Genova, nella mia Liguria, dopo questo gravoso peso che è stato messo su di me, molti ricordi sorgono dal mio passato, l’ho detto anche agli studenti stamani in Piazza Corvetto.

Ma io qui vorrei brevemente ricordare alcuni momenti della mia vita che s’intrecciano con quelli delle vita del nostro paese, ma non per una nostalgia romantica, perché questo non servirebbe a nulla, ma per trarre da quei ricordi degli insegnamenti che a mio avviso valgono anche per la situazione di oggi.

Nel mio Messaggio alla Camera, quando prestai giuramento di fedeltà alla Costituzione nelle mani di un uomo che io ho sempre stimato, il Presidente della Camera Pietro Ingrao, io dissi che nella mia prima giovinezza ero stato alla scuola del Movimento operaio della mia Savona. E con gli operai della mia Savona, con i dirigenti di questi operai, Grotta, Aglietto, il vecchio Aghetto, ed altri, che io imparai ad amare veramente la libertà e con la libertà la giustizia sociale. è da allora che io mi sono legato al Movimento operaio e con esso vissi tutta la tragedia dell’Italia.

Bene, lavoratori del porto, vi ricordo quei momenti perché essi devono suonare oggi ammonimento per tutti, perché il fascismo trovò il Movimento operaio diviso, e la politica, come la natura, non tollera il vuoto. In questa frattura verificatasi nel Movimento operaio si precipitarono le forze del fascismo e prevalsero sugli uni e sugli altri. Oh l’antico proverbio, lavoratori di Genova, non dimenticatelo, perché “tra i due litiganti il terzo gode”. Questa è la verità.

Fu errore gravissimo, e credo – io adesso sono un po’ staccato dalla politica – che da quel ricordo si possa e si debba trarre un ammonimento per la situazione di oggi. Ricordo anche questo, lavoratori: allora si diceva che il pericolo contro la democrazia e le libertà venivano da sinistra. Ed invece il lupo poi è saltato da destra. E naturalmente vi furono forze che appoggiarono le squadracce fasciste, queste squadracce che incendiavano la Camera del Lavoro, le cooperative, che aggredivano nella mia Savona gli operai che nel turno di notte entravano al lavoro.

E poi, quando si disse e si affermò che il pericolo sarebbe venuto da sinistra e caddero sotto il manganello fascista Giacomo Matteotti, Console e Pilati, i ben pensanti rimasero ancora perplessi. Dicevano: bene, colpiscono la sinistra, l’ordine sarà riportato in Italia. Ma poi colpirono a morte Don Minzoni, Piero Gobetti e Giovanni Amendola. Ed allora molti aprirono gli occhi e compresero che il pericolo era per tutte le libertà e per la Nazione intera. Qualcuno si rallegrò allora che il Movimento operaio italiano fosse stato messo in ginocchio. E vero, fu messo in ginocchio il Movimento operaio, ma nessuno dimentichi questo: che quando crolla il Movimento operaio crollano le libertà democratiche e la Nazione intera.

E poi la mia esperienza di esule. Caro compagno Agosti – quante volte Agosti mi ha presentato a voi! – fui costretto nella vicina Francia a fare l’operaio, il nobile mestiere del manovale muratore. Ebbene non mi rammarico di quell’esperienza. Io me ne rallegro, perché da questa esperienza io ho tratto questa consapevolezza: quella di sapere personalmente cosa voglia dire la disoccupazione. Avevo tolto i ponti con la mia famiglia e volevo vivere, ancora una volta, come ho sempre vissuto, onestamente, quindi ho fatto appello alle mie forze giovanili per fare il mestiere dell’operaio.

Poi tornai in Italia perché comprendevo che i giovani non dovessero rimanere alI”estero, dovevano rimanere all’estero i vecchi, gli anziani, ma i giovani dovevano venire in Italia per condurre la lotta contro il fascismo. E venni in Italia per cercare di riorganizzare il Partito socialista, al quale con orgoglio io appartengo ormai da 62 anni.

Della mia permanenza in Italia ricordo il Tribunale speciale e il carcere.

Compagni lavoratori, qui non è più il Presidente della Repubblica che vi parla, ve ne sarete accorti, è il compagno Sandro Pertini. Io ricordo che entrato in carcere a Regina Coeli, e poi portato nell’aula del Tribunale speciale (l’aula 4) venni a sapere che le sentenze di condanna date dal Tribunale fascista, venivano accolte dai condannati al grido della loro fede. E la maggioranza di costoro erano operai o contadini, nessuno deve dimenticare questo. Ed allora io, solo in gabbia, non volli essere da meno e gridai quello che mi palpitava nell’animo: “Viva il socialismo e abbasso il fascismo”. Questo fu il grido con cui accolsi la sentenza. Poi andai in carcere e conobbi tanti compagni, alcuni già scomparsi. Quanti compagni io conobbi in carcere, perché non dirlo? E la storia: la maggioranza erano compagni comunisti. Ebbene erano contadini, operai, qualcuno di loro era entrato in carcere quasi semi analfabeta. Io ricordo che insegnai a leggere e a scrivere a qualcuno di questi compagni. E loro entrati in carcere, sapete che cosa bramavano dire? “Ah, finalmente io posso studiare!”. E definivano il carcere la loro università. Si sono formati in carcere i quadri che poi avrebbero dovuto dirigere la guerra di Liberazione. Un errore commettono coloro che staccano sempre la guerra di Liberazione dall’antifascismo. A mio avviso, l’ho detto altre volte, se non vi fosse stata la lotta di vent’anni contro il fascismo, noi non avremmo avuto la guerra di Liberazione come fatto storico e organico così come oggi ci si presenta. Avremmo avuto, non c’è dubbio, delle ribellioni, ma oasi di ribellioni. La migliore prova di fede è questa: che i quadri della guerra di Liberazione si formarono tra coloro che erano stati in carcere, condannati dai Tribunali speciali.

Nella guerra di Liberazione non vi è dubbio che gli alleati hanno fatto molto, ma nelle loro memorie Alexander ed altri generali affermano che, dopo la Linea Gotica, “noi abbiamo marciato comodamente, perché la strada c’è stata aperta dai partigiani italiani”.

E dopo la guerra di Liberazione nasce la Repubblica e la Carta Costituzionale. Questa Repubblica non è ancora perfetta, molte riforme debbono essere fatte, non vi è dubbio su questo punto. Però non dimenticate questo: che quella Repubblica non c’è stata donata su di un piatto d’argento da qualcuno, ce la siamo conquistata noi con vent’anni di lotta contro il fascismo e con due anni di guerra di Liberazione. E questa Repubblica noi abbiamo il dovere di difenderla perché difendiamo una conquista che è nostra.

Io non apprezzo coloro che dicono: né con le Brigate rosse, né contro le Brigate rosse. No, no, non è una posizione coraggiosa. Perché questo ritornello noi lo sentimmo nella nostra giovinezza, quando qualcuno diceva: né con gli antifascisti, né con il fascismo, ed ha finito per adeguarsi poi alla situazione che per vent’anni ha dominato il nostro Paese. No, io l’ho detto e lo ripeto oggi, come Presidente della Repubblica, che costi quel che costi alla nostra persona, noi intendiamo difendere questa Repubblica contro coloro che vorrebbero abbatterla. Nessuna tolleranza.

Ieri sono andato a rendere omaggio alla salma di un’altra vittima delle Brigate rosse a Roma. Un uomo pacifico, tranquillo, che ha sempre compiuto il suo dovere di servitore dello Stato. Un altro giovane che io ricordo – oltre l’indimenticato Walter Rossi – è Claudio ucciso bestialmente da un altro giovane a Napoli. E qui apro una parentesi. C’è qualcuno all’estero che guarda con un certa sufficienza, se non con disinteresse, al popolo italiano. No, amici miei, lavoratori, il nostro popolo non è inferiore agli altri popoli, è un popolo generoso che è stato spesso duramente provato, ma che ha saputo sempre risollevarsi da quelle sventure e riprendere poi la sua strada. Io sono certo che per opera del nostro popolo l’Italia risalirà la china e potrà avviarsi verso un domani migliore.

La madre di Claudio, questa madre che è stata colpita nell’affetto suo più caro, mi ha detto: “Preferisco essere la madre della vittima che la madre dell’assassino”. Ma non basta. Il giovane Claudio ha lasciato le sue cornee che sono state trapiantate negli occhi di un giovane operaio.

Voglia il destino della Patria nostra che questi giovani possano vedere un domani di pace, di serenità e di giustizia, quella serenità e giustizia che non è riuscito a vedere questo Claudio, al quale noi mandiamo, alla sua memoria, tutta la nostra riconoscenza, tutta la nostra solidarietà.

Noi riuscimmo a risollevarci dalle rovine della guerra, riuscimmo a risollevarci da tutto quello che aveva commesso per vent’anni il fascismo, da tutte le ingiustizie che esso aveva perpetrato. Ma come mai riuscimmo a risollevarci allora da quelle rovine? E come mai riuscimmo ad iniziare il cammino della democrazia verso una maggiore giustizia sociale. Perché allora tutti i partiti democratici erano uniti. La guerra di Liberazione fu condotta sotto la guida dei Comitati di Liberazione Nazionale. Bene, io nel Messaggio al Parlamento, quando sono stato insediato, ho affermato quello che affermo anche in questo momento: che io mi considero espressione dell’unità nazionale. E guai se qualcuno nell’ombra pensasse di spezzare quest’unità. Se qualcuno pensasse di spezzare quest’unità nazionale, giorni tristi attenderebbero il nostro Paese, ed io come Presidente della Repubblica impedirò sempre che questo avvenga.

L’ultima mia parola è per voi giovani che mi ascoltate. Due parole stamani, brevi parole, ho detto ai giovani studenti che erano ai piedi del monumento a Mazzini. Vedete, giovani è, a voi che parlo. Non badate ai miei capelli bianchi, badate a quella che è la mia fede vigorosa e al mio animo. E poi, voi lo sapete giovani, che c’è chi nasce vecchio e chi vive giovane tutta la sua vita. Io appartengo a questa seconda categoria. Bene, giovani, chi vi parla e un anziano che ha combattuto sempre, che è stato sempre vicino al Movimento operaio. è stato vicino al Movimento operaio anche quando esso aveva torto, come nel 1919-20, perché si era attardato sulle sue infantili posizioni massimalistiche: una delle cause dell’avvento del fascismo. Guai a coloro che, dicendosi partecipi delle lotte del Movimento operaio, dovessero abbandonarlo quando commette degli errori. … No, è allora che bisogna stare al fianco del Movimento operaio! Se io non ho mai smarrito la giusta strada lo devo anche a questo: che nei giorni di tempesta soprattutto, e nei giorni di sole, sono sempre stato al fianco del Movimento operaio italiano.

Bene giovani, questo è il primo insegnamento che desidero, dalla mia vita di 60 anni e più di lotta, offrire alla vostra meditazione.

Io sentivo stamani un refrain, un ritornello: oggi e sempre Resistenza. Portate dei vasi a Samo, portate acqua al mio mulino dicendo: “oggi e sempre Resistenza”. Badate, non dimenticate questo: che la libertà è un dono prezioso e inalienabile. Voi dovete battervi per questo, ma restando sul terreno civile della democrazia. Voi dovete opporvi a coloro che cercano di insinuarsi nelle vostre file e che cercano anche di approfittare magari dei particolari stati d’animo in cui un giovane può venirsi a trovare in momenti di angoscia, per motivi di studio, o perché disoccupato.

Così come un terreno propizio possono offrirlo quei giovani disorientati che per un motivo o per l’altro sono vittime della droga. Bene giovani, voi non dovete lasciarvi ingannare. Restate invece a fianco del Movimento operaio e difendete la libertà. E se non volete cari giovani, come io auguro, che la vostra vita scorra nuda, grigia, monotona, fate quello che abbiamo fatto noi alla vostra età: date alla vostra vita un’idea, una fede, fate che una fede illumini ogni giorno della vostra giornata; ed allora sentirete che la vita vale la pena di essere vissuta. Questa è l’esortazione che un anziano vi rivolge. Noi anziani abbiamo commesso degli errori. Ma d’altronde, ditemi giovani, chi è che camminando qualche volta non inciampi e cada? Solo chi sta seduto non rischia di precipitare. L’importante però è risollervarsi e riprendere il giusto cammino. è quello che abbiamo fatto noi anziani.

Noi anziani, siatene certi, finché ci rimarrà un alito di vita, resteremo al vostro fianco per aiutarvi onde possiate camminare con passo sicuro e più spedito. Staremo con voi per condividere ansie, disperazione, sofferenza, aspirazioni. Ci batteremo ancora come ieri al vostro fianco per la libertà, la democrazia e la giustizia sociale nel nostro Paese. Dico a voi quello che ho detto agli studenti in Piazza Corvetto ed in altre circostanze: difendete la libertà e la democrazia perché quando la libertà è perduta, tutto è perduto.

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