Dai discorsi di Sandro Pertini

AI GIOVANI
(dai discorsi di Sandro Pertini)

 

1947
      Salutiamo le forze giovanili del lavoro riunite oggi a congresso.
      E’ con intima commozione che diamo questo saluto perché noi anziani, memori degli entusiasmi e delle intemperanze della nostra ardente giovinezza, abbiamo sempre avuto una fraterna comprensione per i giovani e su di loro abbiamo costantemente fermate le nostre attenzioni e le nostre cure, consapevoli come siamo che essi costituiscono la linfa rinnovatrice di ogni organismo sociale e politico.
      Ma è anche e soprattutto con orgoglio che diamo questo saluto, perché ricordiamo come questi giovani si sono battuti al nostro fianco nella guerra di liberazione. In questa lotta essi si sono gettati senza risparmiarsi, avendo quale miraggio la redenzione della Patria ed il sacrificio della propria persona.
      Fu precisamente nella guerra di liberazione che molti giovani – i quali nel soffocante clima fascista, senza guida, facendo appello solo alle proprie intime forze, andavano con ansia ricercando se stessi – hanno finalmente trovato la strada giusta. Adesso questa gioventù che è stata all’avanguardia nella lotta per l’indipendenza della Patria, vuole giustamente essere di nuovo all’avanguardia nella lotta di carattere sociale, che tutte le forze del lavoro si preparano ad affrontare per dare ala Repubblica un contenuto che corrisponda agli interessi e alle aspirazioni delle masse lavoratrici.
      E il modo migliore per inserirsi in questa lotta e per parteciparvi come formazioni di punta sarà, per i giovani, quello di esaminare e di discutere liberamente i loro problemi, cercando di proporre le soluzioni più giuste. Sono i problemi che concernono l’istruzione professionale, l’apprendistato, la sicurezza del lavoro, la riqualificazione della manodopera. Sono i problemi che tormentano gi studenti. Oggi chi ha la forza del denaro, pur avendo spesso povertà di mente, può avanzare negli studi, mentre molti giovani, che hanno ricchezza di mente, debbono abbandonare la scuola perché privi di mezzi.
      Bisognerà, quindi, che l’attuale congresso delle forze giovanili esamini a fondo anche questo importante problema, che potrà in parte essere risolto con la differenziazione delle tasse scolastiche con borse di studio, con speciali provvidenze a favore degli studenti lavoratori. Si trovi, cioè, la soluzione che dia la possibilità di accedere ai più alti gradi della scuola a tutti coloro che, pur essendo sprovvisti di mezzi, possiedono qualità intellettuali. è in questo modo che si rinnoveranno i quadri dirigenti della nazione.
      E le giovani dovranno porre i loro particolari problemi, quelle giovani che nella guerra di liberazione lottarono con umiltà e devozione al nostro fianco.
      Furono esse a disimpegnare l’arduo compito della “staffetta”, affrontando pericoli e sacrifici di ogni sorta. Non dimenticheremo mai come queste nostre compagne di lotta, la cui modestia era pari al coraggio, seppero rincuorare gli sfiduciati, sospingere i perplessi, donare con cuore di sorelle l’ultima parola di conforto al compagno che combattendo cadeva. Orbene, la loro opera ci è necessaria oggi più di ieri e non soltanto nel settore assistenziale, ma anche nel settore politico, nella lotta, cioè vera e propria. E queste giovani nell’odierno congresso dovranno esaminare i loro problemi, che vanno dalla difesa sociale della donna , alla sicurezza sul lavoro e relative garanzie come si prospettano per gli uomini.
      Ma tutta questa gioventù dovrà soprattutto discutere i problemi concernenti la pace. Sono questi giovani e queste ragazze che debbono avere la sicurezza della pace, perché se essa venisse meno sarebbero precisamente loro i primi a pagarne il duro prezzo.
      Ecco le ragioni di questo primo congresso delle forze giovanili del lavoro ed ecco i problemi che vi si discuteranno.

      Noi anziani possiamo veramente essere fieri di questo promettente risveglio delle forze giovanili. Se questi giovani rimarranno come noi siamo sempre rimasti, alla testa del popolo lavoratore con spirito di sacrificio e contro ogni meschino conformismo, le libertà non saranno trasformate in una lustra, ma diverranno un bene sicuro per tutti i cittadini, e la giustizia non rimarrà una vana ed ingannevole promessa, bensì diverrà una realtà per ogni uomo.
      Noi, finché durerà la nostra esistenza, saremo vicini a questi giovani per comprendere e per assecondare i loro entusiasmi, per sorreggerli con la nostra esperienza, per proteggerli con la forza morale che deriva da un lungo passato di lotta. E guarderemo sempre a loro come all’espressione fisica evidente della speranza che arde nei nostri cuori, la speranza di un domani di libertà, di giustizia, di pace.
      Così in questo momento, ci piace salutare questa gioventù riunita a congresso con le stesse parole che un altro anziano – Claudio Treves – rivolse in terra d’esilio a noi allora giovani: Viva i giovani, che continuano, correggendo, perfezionando, rifacendo con più saggio e fecondo idealismo, l’opera in cui si sono stremati i vecchi. La vita continua, la fiaccola passa in mani più valide che la portano sollevata, “uti cursores”. Crediamo, speriamo, lavoriamo, dunque come se ogni giorno dovesse essere per noi l’ultimo e come se l’ultimo giorno non dovesse venire mai. Viva i giovani!

(Viva i giovani. Il Lavoro Nuovo, 8 febbraio 1947. Articolo di saluto ai giovani socialisti riuniti a congresso)

   1978
      L’ultima mia parola è per voi giovani che mi ascoltate. Due parole stamani, brevi parole, ho detto ai giovani studenti che erano ai piedi del monumento a Mazzini. Vedete, giovani, è a voi che parlo. Non badate ai miei capelli bianchi, badate a quella che è la mia fede vigorosa e al mio animo. E poi, voi sapete, giovani, che c’è chi nasce vecchio e chi vive giovane tutta la sua vita. Io appartengo a questa seconda categoria. Bene, giovani, chi vi parla è un anziano che ha combattuto sempre, che è stato vicino al Movimento operaio. è stato vicino al Movimento operaio anche quando esso aveva torto, come nel 1919-20, perché si era attardato sulle sua infantili posizioni massimalistiche: una delle cause dell’avvento del fascismo. Guai a coloro che, dicendosi partecipi delle lotte del Movimento operaio, dovessero abbandonarlo quando commette degli errori. No, è allora che bisogna stare al fianco del Movimento operaio! Se io non ho mai smarrito la giusta strada lo devo anche a questo: che nei giorni di tempesta soprattutto, e nei giorni di sole, sono sempre stato al fianco del Movimento operaio italiano.
      Bene giovani, questo è il primo insegnamento che desidero, dalla mia vita di 60 anni e più di lotta, offrire alla vostra meditazione.
      Io sentivo stamane un refrain, un ritornello: oggi e sempre Resistenza. Portate dei vasi di Samo: portate acqua al mio mulino dicendo “Oggi e sempre Resistenza”. Badate , non dimenticate questo: che la libertà è un dono prezioso e inalienabile. Voi dovete battervi per questo, ma restando sul terreno della democrazia. Voi dovete opporvi a coloro che cercano di insinuarsi nelle vostre file e che cercano anche di approfittare magari dei particolari stati d’animo in cui un giovane può venirsi a trovare in momenti di angoscia, per motivi di studio, o perché disoccupato.
 Così come un terreno propizio possono offrirlo quei giovani disorientati che per un motivo o per l’altro sono vittime della droga. Badate giovani, voi non dovete lasciarvi ingannare, restate a fianco del Movimento operaio e difendete la libertà. E se non volete, cari giovani, come io auguro, che la vostra vita scorra nuda, grigia, monotona, fate quello che abbiamo fatto noi alla vostra età: date alla vostra vita un’idea, una fede, fate che una fede illumini ogni giorno della vostra giornata, ed allora sentirete che la vita vale la pena di essere vissuta. Questa è l’esortazione che un anziano vi rivolge.
      Noi anziani abbiamo commesso degli errori. Ma d’altronde. Ditemi giovani, chi è che camminando qualche volta non inciampi e cada? Solo chi sta seduto non rischia di precipitare. L’importante però è risollevarsi e riprendere il giusto cammino. è quello che abbiamo fatto noi anziani.
      Noi anziani, siatene certi, finché ci rimarrà un alito di vita, resteremo al vostro fianco per aiutarvi onde possiate camminare con passo sicuro e più spedito, staremo con voi per condividere ansie, disperazione, sofferenza, aspirazioni. Ci batteremo ancora come ieri al vostro fianco per la libertà e la democrazia e la giustizia sociale nel nostro Paese. Dico a voi quello che ho detto agli studenti di piazza Corvetto ed in altre circostanze: difendete la libertà e la democrazia perché quando la libertà è perduta, tutto è perduto.

(ai lavoratori di Genova, 12 ottobre 1978)

   1983
      Le domande che mi sento fare da questi giovani sono queste: “Il nostro domani, l’avvenire, sarà turbato dalla guerra? Dopo che avremo studiato avremo un’occupazione? E poi un’altra domanda mi fanno, gli anziani mi ascoltino: “Perché, Presidente, gli anziani si abbandonano a tanti scandali? Perché tanta corruzione?”. è un ammonimento che sorge dai giovani verso questa minoranza di anziani che danno esempio di corruzione, di disonestà. Guai a chi dà scandalo ai giovani. Io li amo immensamente, questi giovani. Sono l’avvenire della Patria, peraltro. Sono loro il futuro. Noi rappresentiamo il passato con il nostro bene, se volete anche con i nostri errori, ma questi giovani si affacciano adesso alla vita, sono essi che hanno nelle loro mani l’avvenire della Patria e del popolo italiano.
      Prima che termini il mio mandato avrò ricevuto 200 mila e più studenti. Io credo nella nostra gioventù. è molto più sana di quello che pensano certi anziani che stanno con molto sussiego lontano dai giovani o che sono pronti a giudicarli, a dare giudizi del tutto superficiali. è vero, sono esuberanti. E perché non devono essere esuberanti? Hanno diritto i giovani di vivere con tranquillità la loro giovinezza e di guardare con tranquillità al loro domani. Siamo noi anziani che dobbiamo fare in modo che questa loro speranza diventi certezza. Fanno bene i giovani a scendere in piazza e a volere la pace.
Se tutti i popoli della terra, se tutti i giovani della terra potessero trovarsi uniti e potessero quindi coralmente esprimere il loro desiderio, la loro volontà, direbbero: noi vogliamo la pace e siamo contro la guerra, contro tutte le guerre, contro la dittatura, vogliamo essere liberi.
Noi vogliamo che i nostri giovani siano degli uomini liberi, in piedi, a fronte alta, padroni del loro destino e non dei servitori in ginocchio. Questo noi chiediamo. Battetevi sempre per la libertà, per la pace, per la giustizia sociale.
(dal messaggio di fine anno agli italiani del 31 dicembre 1983)
 
1984
Ho sentito l’altro giorno il Presidente del Consiglio Craxi, che tra parentesi, debbo dirlo, assolve bene il suo dovere e il suo compito, con intelligenza, con fantasia e con molto impegno l’ho sentito affermare che l’economia in Italia è in piena ripresa. Orbene, se l’economia è in piena ripresa, si combatta immediatamente soprattutto la disoccupazione. La disoccupazione è un male tremendo, io l’ho conosciuta quando ero giovane e facevo l’operaio in Francia per vivere onestamente. Molte famiglie di disoccupati che mi stanno ascoltando stanno attendendo con tristezza e con molta preoccupazione l’anno nuovo. Quindi si provveda a combattere questo male che è la disoccupazione.
      Vi è un’altra mia preoccupazione. Si dice, me lo hanno detto i miei collaboratori, che vi sia una ripresa, un tentativo per lo meno di ripresa del terrorismo in Italia. Il terrorismo che si è manifestato nella sua prima fase in modo veramente violento, facendo tante vittime, tra cui Moro, legato a me da fraterna amicizia, fu debellato dalle forze dell’ordine, che hanno pagato un alto prezzo di sangue. Ma fu debellato anche perché il popolo italiano ha fatto barriera. Ora, se per dannata ipotesi questi tentativi di terroristi dovessero prendere una forma consistente, troveranno a fare barriera il popolo italiano.
      Vi è un’altra mia preoccupazione, non posso nascondervela. Si stanno verificando scandali. Non si verificano questi scandali nella classe lavoratrice propriamente detta, si stanno verificando in alto, tra persone che stanno bene economicamente, ma che, si vede, sono insaziabili di denaro, di ricchezza. Sono scandali che turbano la coscienza di coloro che onestamente lavorano e che onestamente si guadagnano il necessario per vivere. Quindi devono essere condannati; la legge sia implacabile, inflessibile contro i protagonisti di questi scandali e che danno quindi un esempio veramente degradante al popolo italiano.
      Vi è un’altra considerazione che vi debbo fare , che riguarda la nostra gioventù. Mi stanno molto a cuore i giovani. Vedete qui al Quirinale ho instaurato un metodo: quello di ricevere tutte le scolaresche che al mattino vengono a visitare il Quirinale. In questi anni ne ho già ricevuti 360 mila. Ebbene io non faccio discorsi a questi scolari, a questi giovani intreccio con loro un dialogo, coè mi sottopongo ad un interrogatorio. Essi mi chiedono. “Quando avremo terminato i nostri studi troveremo un’occupazione?” ecco le domande che mi fanno i nostri giovani. E non dobbiamo tradire le speranze della nostra gioventù. Di questa gioventù che rappresenta l’avvenire della Patria, l’avvenire della Nazione.
      Prima di lasciarvi, consentitemi di inviare un saluto cordiale, fraterno agli emigrati che sono fuori d’Italia, che sono andati in cerca di lavoro all’estero. è triste, credetemi, dovere lasciare la propria Patria, i propri parenti per andare a cercare lavoro in terra straniera. Io l’ho provata questa esperienza, l’ho sentita. è vero io sono andato all’estero per ragioni di carattere politico, ma ho dovuto fare l’operaio per vivere. Però vi è per me un conforto. Parlando dei nostri emigrati all’estero, in tutti paesi che ho visitato, i Presidenti, gli uomini di governo di quei paesi mi hanno detto: “Noi dobbiamo veramente essere soddisfatti degli emigrati italiani. Tra tutti gli emigrati che vengono qui, sono quelli che non ci danno nessun fastidio, nessuna noia e non creano a noi delle situazioni preoccupanti. Sono quelli che vengono, creano lavoro, un posto, una casa, per poi chiamare la loro famiglia e fare studiare i loro figlioli”. A questi emigrati, che fanno onore alla nostra Patria, all’Italia, vada il mio augurio fervido e il mio saluto fraterno.
      Un saluto rivolgo a tutti voi, ed anche ai soldati che sono ancora nel Libano e ai soldati e ufficiali che sono nel Mar Rosso. E un saluto fraterno a voi che mi avete ascoltato. Auguriamoci reciprocamente, miei cari compatrioti, che il nuovo anno sia un anno di serenità per il popolo italiano e di pace per il mondo.

(dal messaggio di fine anno agli italiani, 31 dicembre 1984)
 
1983
      All’ombra dei missili, Onorevoli Parlamentari, non avremo mai pace. Non pensiamo a noi, che siamo al tramonto della nostra esistenza, pensiamo ai giovani che ci seguono, che si affacciano oggi alla vita attiva. Ci preoccupiamo dei giovani, perché a loro vorremmo lasciare una pace che non conosca più sanguinosi tramonti.
Vorremmo che vivessero non sotto l’incubo della guerra. Ma sotto la protezione della pace.
      I giovani hanno ragione di chiedere questo a noi anziani; hanno ragione a voler vivere la loro vita senza che essa sia turbata da minacce di una guerra nucleare che sarebbe l’ultima, perché sarebbe la fine dell’umanità. Noi crediamo nei giovani. Vi è una frangia che si dà alla violenza e alla droga, ma la stragrande maggioranza dei giovani è sana moralmente e politicamente.
      Io ho questa personale esperienza, Signori Parlamentari: tutte le mattine al Quirinale ricevo dai 500 ai 600 giovani studenti di ogni parte d’Italia. In quattro anni della mia Presidenza ne ho già ricevuti 100 mila. Non faccio loro alcun discorso. Ne sentono già troppi. Intreccio con loro un dialogo, mi faccio sottoporre ad un vero interrogatorio. Orbene, la domanda assillante che tutti mi fanno è questa: “Vi sarà la guerra? Il nostro avvenire sarà minacciato dalla guerra atomica?”. A questa domanda noi dobbiamo rispondere, perché da noi, dagli anziani, da chi detiene nelle proprie mani il destino dei popoli dipende il domani della nostra gioventù.
      E se non vogliamo che ricada su di noi la maledizione dei giovani che hanno il diritto di vivere la loro vita in tutta la sua pienezza, dobbiamo adoperarci per il disarmo totale e controllato.
      Siano distrutte le armi atomiche e l’energia nucleare sia usata per fare progredire l’umanità sul cammino della pace.
      Noi abbiamo partecipato a due guerre mondiali: alla prima quando eravamo ancora adolescenti, alla seconda come Partigiani reduci dalle galere fasciste. Non è vero che la guerra sia “bella”, come ha declamato un poeta decadente della mia terra italica; la guerra è un mostro vorace, è l’anticiviltà.
      E alla barbarie noi non dobbiamo ritornare, ma volere la civiltà ove trionfi il pensiero, il lavoro, la solidarietà di tutti i popoli della terra legati ormai allo stesso destino. I giovani vogliono vivere la loro vita e non perire nell’olocausto nucleare.
      Noi siamo con i giovani, e finché vita sarà con noi, al loro fianco staremo per tenere lontano il mostro della guerra e per aiutarli a vivere degnamente e serenamente la loro vita, che è un bene prezioso: essa deve essere sorgente di gioia e di conquiste esaltanti in tutti i campi del sapere umano. Prevalga l’uomo sulla bestia; prevalga la civiltà sulla barbarie.
     Per questo domani di pace, di fratellanza fra tutti i popoli della terra, di progresso noi abbiamo lottato tutta ala nostra vita.
Nos non nobis: sicuro, per i giovani che ci seguono abbiamo lottato e continueremo a lottare.
      Lotteremo perché la pace sempre trionfi; perché l’intelligenza prevalga sugli istinti bestiali; perché gli uomini si sentano tutti fratelli legati allo stesso destino; perché il più forte sorregga il più debole e insieme camminino sulla strada della vita. Noi accettiamo l’esortazione del grande drammaturgo Brecht: l’umanità non deve avere più bisogno di eroi, ma di uomini che, liberi per sempre dall’incubo della guerra, insieme indaghino e lavorino nel campo della scienza per fare progredire l’umanità e per fare sì che viva nobilmente la vita, cercando con la scienza non di perfezionare ordigni di morte, ma di attingere le vette più alte dell’umana esistenza e rendere la vita più nobile e degna d’esere vissuta. Con questi propositi e con questa ferma volontà siamo al fianco della nostra gioventù, esortandola a lottare come se ogni giorno fosse l’ultimo e come se l’ultimo giorno mai dovesse sorgere.

(dal discorso all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa. Strasburgo, 27 aprile 1983)
 
 1978
      “Giuro di essere fedele alla Repubblica e di osservarne lealmente la Costituzione”
      Onorevoli senatori, onorevoli deputati, signori delegati regionali! Nella mia tormentata vita mi sono trovato più volte di fronte a situazioni difficili e le ho sempre affrontate con animo sereno, perché sapevo che sarei stato solo io a pagare, solo con la mia fede politica e la mia coscienza.
      Adesso, invece, so che le conseguenze di ogni mio atto si rifletteranno sullo Stato, sulla nazione intera.
      Da qui il mio doveroso proposito di osservare lealmente e scrupolosamente il giuramento di fedeltà alla Costituzione, pronunciato dinanzi a voi, rappresentanti del popolo sovrano.
      Dovrò essere il tutore delle garanzie e dei diritti costituzionali dei cittadini.
      Dovrò difendere l’unità e l’indipendenza della nazione nel rispetto degli impegni internazionali e delle sue alleanze, liberamente contratte.
      Dobbiamo prepararci ad inserire sempre più l’Italia nella comunità più vasta che è l’Europa, avviata alla sua unificazione con il parlamento europeo, che l’anno prossimo sarà eletto a suffragio diretto.
      L’Italia a mio avviso, deve essere nel mondo portatrice di pace: si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte, si colmino i granai, sorgente di vita per milioni di creature umane che lottano contro la fame. Il nostro popolo generoso si è sempre sentito fratello a tutti i popoli della terra.
      Questa la strada, la strada della pace che noi dobbiamo seguire.
      Ma dobbiamo operare perché, pur nel necessario e civile raffronto fra tutte le ideologie politiche, espressione di una vera democrazia, la concordia si realizzi nel nostro paese.
      Farò quanto i sarà possibile, senza tuttavia mai travalicare i poteri tassativi prescritti dalla Costituzione, perché l’unità nazionale, di cui la mia elezione è una espressione, si consolidi e si rafforzi. Questa unità è necessaria e, se per disavventura si spezzasse, giorni tristi attenderebbero il nostro paese.
      Non dimentichiamo, onorevoli deputati, onorevoli senatori, signori delegati regionali, che se il nostro paese è riuscito a risalire dall’abisso in cui fu gettato dalla dittatura fascista e da una folle guerra, lo si deve anche, e soprattutto, all’unità nazionale realizzata allora da tutte le forze democratiche.
      è con questa unità nazionale che tutte le riforme, cui aspira il da anni alla classe lavoratrice, potranno essere attuate. Questo è compito del Parlamento.
      Bisogna che sia assicurato un lavoro ad ogni cittadino. La disoccupazione è un male tremendo che porta anche alla disperazione. Questo, chi vi parla, può dire per personale esperienza acquisita quando in esilio ha dovuto fare l’operaio per vivere onestamente. La disoccupazione giovanile deve soprattutto preoccuparci, se non vogliamo che migliaia di giovani, privi di lavoro, diventino degli emarginati nella società, vadano alla deriva e, disperati, si facciano strumenti dei violenti o diventino succubi di corruttori senza scrupoli.
      Bisogna risolvere il problema della casa, perché ogni famiglia possa avere una dimora dignitosa, dove poter trovare un sereno riposo dopo una giornata di duro lavoro. 
 Deve essere tutelata la salute di ogni cittadino, come prescrive la Costituzione.
      Anche la scuola conosce una crisi che deve essere superata. L’istruzione deve essere davvero universale, accessibile a tutti, ai ricchi di intelligenza e di volontà di studiare, ma poveri di mezzi.
      L’Italia ha bisogno di avanzare in tutti i campi del sapere, per reggere il confronto con le esigenze della nuova civiltà che si profila.
      Gli articoli della Carta costituzionale che si riferiscono all’insegnamento e alla promozione della cultura, della ricerca scientifica e tecnica, non possono essere disattesi.
      Il dettato costituzionale, che valorizza le autonomie locali e introduce le regioni, è stato attuato. Ne è derivata una vasta partecipazione popolare che deve essere incoraggiata.
      Questo diciamo perché vogliamo che la libertà, riconquistata dopo lunga e dura lotta, si consolidi nel nostro paese. E vada la nostra fraterna solidarietà a quanti in ogni parte del mondo sono iniquamente perseguitati per le loro idee.
      Certo, noi abbiamo sempre considerato la libertà un bene prezioso, inalienabile. Tutta la nostra giovinezza abbiamo gettato nella lotta, senza badare a rinunce per riconquistare la libertà perduta.
      Ma se a me, socialista da sempre, offrissero la più radicale delle riforme sociali a prezzo della libertà, io la rifiuterei, perché la libertà non può mai essere barattata. Tuttavia essa diviene una fragile conquista e sarà pienamente goduta solo da una minoranza, se non riceverà il suo contenuto naturale che è la giustizia sociale.
      Di qui le riforme cui ho accennato poc’anzi. Ed è solo in questo modo che ogni italiano sentirà sua la repubblica, la sentirà madre e non matrigna. Bisogna cioè che la Repubblica sia giusta e incorrotta, forte e umana: forte con tutti i colpevoli, umana con i deboli e i diseredati. Così l’hanno voluta coloro che la conquistarono dopo venti anni di lotta contro il fascismo e due anni di guerra di liberazione, e se così sarà oggi, ogni cittadino sarà pronto a difenderla contro chiunque tentasse di minacciarla con la violenza.
      Contro questa violenza nessun cedimento. Dobbiamo difendere la Repubblica con fermezza, costi quel che costi alla nostra persona. Siamo decisi avversari della violenza, perché siamo estremi difensori della democrazia e della vita di ogni cittadino. Basta con questa violenza che turba il vivere civile del nostro popolo, basta con questa violenza consumata quasi ogni giorno contro pacifici cittadini e forze dell’ordine, cui va la nostra solidarietà.
      E d alla nostra mente si presenta la dolorosa immagine di un amico a noi tanto caro, di un uomo onesto, di un politico dal forte ingegno e dalla vasta cultura: Aldo Moro. Quale vuoto ha lasciato nel suo partito e in questa Assemblea! Se non fosse stato crudelmente assassinato, lui, non io, parlerebbe oggi da questo seggio a voi.
      Ci conforta la constatazione che il popolo italiano ha saputo prontamente reagire con compostezza democratica, ma anche con ferma decisione, a questi criminali atti di violenza. Ne prendano atto gli stranieri, spesso non giusti nel giudicare il popolo italiano. Quale altro popolo saprebbe rispondere e resistere ad una bufera di violenza quale quella scatenatasi sul nostro paese come ha saputo e sa rispondere il popolo italiano?
      Onorevoli deputati, onorevoli senatori, signori delegati regionali, invio alle forze armate il mio saluto caloroso. Esse oggi, secondo il dettato della Costituzione, hanno il nobilissimo compito di difendere i confini della patria se si tentasse di violarli. Noi siamo certi che i nostri soldati e i nostri ufficiali saprebbero con valore compiere questo alto dovere.
 Il mio saluto deferente alla magistratura: dalla Corte costituzionale a tutti i magistrati ordinari e amministrativi, cui incombe il peso prezioso e gravoso di difendere ed applicare le leggi dello Stato. Alle forze dell’ordine il mio saluto. Esse ogni giorno rischiano la propria vita per difendere la vita altrui. Ma devono essere meglio apprezzate ed avere condizioni economiche più dignitose. Vada il nostro riconoscente pensiero a tutti i connazionali che fuori delle nostre frontiere onorano l’Italia con il loro lavoro.
      Rendo omaggio a tutti i miei predecessori per l’opera da essi svolta nel supremo interesse del Paese. Il mio saluto al senatore Giovanni Leone, che oggi vive in amara solitudine.
      Non posso, in ultimo, non ricordare i patrioti con i quali ho condiviso le galere del tribunale speciale, i rischi della lotta antifascista e della Resistenza. Non posso non ricordare che la mia coscienza di uomo libero si è formata alla scuola del Movimento operaio di Savona e che si è rinvigorita guardando sempre ai luminosi esempi di Giacomo Matteotti, di Giovanni Amendola e Piero Gobetti, di Carlo Rosselli, di don Minzoni e di Antonio Gramsci, mio indimenticabile compagno di carcere. Ricordo questo con orgoglio, non per ridestare antichi risentimenti, perché sui risentimenti nulla di positivo si costruisce, né in morale, né in politica. Ma da oggi io cesserò di essere uomo di parte.
      Intendo essere solo il Presidente della Repubblica di tutti gli italiani, fratello a tutti nell’amore di patria e nell’aspirazione costante alla libertà e alla giustizia.
      Onorevoli senatori, onorevoli deputati, signori delegati regionali, viva la Repubblica, viva l’Italia!

(Giuramento e messaggio del Presidente della Repubblica, 9 luglio 1978)

   
1979
      Più volte ascoltando gli oratori mi sono sentito chiamare compagno Sandro. Ed è precisamente il compagno Sandro che parla alla classe lavoratrice Savonese. Ricordo che un mio maestro, Adelchi Baratono, professore di filosofia al Liceo Chiabrera di Savona, mi disse una sera: “Se non vuoi smarrire mai la giusta strada resta sempre al fianco della classe lavoratrice nei giorni di sole e nei giorni di tempesta”. Ed io credo di essere sempre stato fedele a questo insegnamento.
      Erano, credetemi, momenti davvero difficili, più difficili di quelli che viviamo oggi. Eravamo una minoranza che si batteva contro l’avanzare del fascismo. Ebbene, io ricordo anche questo episodio. Al turno di notte, e cioè alle dieci di sera, mentre gli operai entravano all’Ilva, sulla porta vi era un branco di manigoldi fascisti col manganello che bastonavano tutti gli operai che entravano nello stabilimento. Ecco il volto del fascismo come si è presentato in quel momento. E da allora sono sempre stato fedele all’insegnamento del mio maestro.
      Poi l’esilio, l’evasione dal grande carcere che era divenuta l’Italia, la fuga con un maestro del socialismo al quale io sono sempre stato legato da affetto fraterno, Filippo Turati. E poi la mia vita in Francia come operaio. E come operaio ho potuto comprendere che cosa voglia dire la disoccupazione, che cosa voglia dire avere un salario non sufficiente ad affrontare la spesa di ogni giorno. Ed è stata una lezione per me.
      E quindi il carcere, il Tribunale speciale. Ah lavoratori dell’Ilva! Perdonate, io non posso dire che l’Ilva, l’Italsider è un qualche cosa di troppo tecnico per me, mentre l’Ilva è qualcosa di più umano per cui i ricordi si affollano alla mia mente, sorgono dal fondo del mio animo. Ebbene al tribunale speciale quanti operai e contadini vi ho incontrati! Quanti ne ho incontrati in carcere, operai e contadini che avevano saputo affrontare le alte condanne del tribunale speciale al grido della loro fede. Poi il confino e la guerra di Liberazione. Ecco che in breve vi ho detto il tragitto che io ho percorso, restando sempre fedele alla classe lavoratrice italiana.

(Ai lavoratori dell’Italsider – Savona 20 gennaio 1979)