Al Presidente degli Stati Uniti D’America Ronald Regan (7 giugno 1982)
SANDRO PERTINI
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
DISCORSI (1978 1985)
AL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI (Washington 25 marzo 1982)
Signor Presidente.
sono particolarmente grato a Lei ed al popolo degli Stati Uniti per l’accoglienza così amichevole e cordiale che ho ricevuto in terra americana, e per l’atmosfera di particolare simpatia in cui si svolge questo nostro incontro.
Ne poteva essere altrimenti dati i profondi tradizionali vincoli che uniscono i nostri popoli. Sono vincoli che hanno origine lontana: non porto, infatti, con me i semi del granturco cinquantino e le altre semenze della Toscana, che Filippo Mazzei, racconta nelle sue memorie, donò a Thomas Jefferson per piantarle nella sua fattoria.
Pertini visitò ufficialmente gli Stati Uniti dal 24 marzo al 2 aprile de11982. Dopo l’incontro con il Presidente Ronald Reagan, avvenuto il 25 marzo, durante il quale pronunciò il discorso di cui si riproduce il testo, Pertini si recò a San Francisco dove, il 27 marzo, rispose ad un indirizzo di saluto rivoltogli dal sindaco della città, signora Dianne Feinstein, e, successivamente, tenne un discorso in risposta allo stesso sindaco di San Francisco in occasione del banchetto organizzato dagli italomericani, di cui si riproduce il testo.
Il 29 Marzo Pertini si recò a Chicago pronunciando un discorso in risposta al sindaco della città, durante il quale, tra l’altro, affermò: “Mi piace qui ricordare non certamente per orgoglio nazionalistico, ma quale testimonianza dello “speciale link” che unisce l’ltalia a Chicago, due italiani di grande rilievo che qui operarono: il prof. Enrico Fermi il quale dette il suo risolutivo contributo al più grande evento scientifico dell’era moderna e Suor Maria Cabrini la quale qui esercitò il suo memorabile apostolato per i poveri e gli ammalati senza riguardo alla loro razza e nazionalità”.
Il 30 marzo, sempre a Chicago, Pertini pronunciò un discorso al Mid American Committe. Lo stesso giorno a New York parlò alla Camera di Commercio Italoamericana.
Il 31 marzo La Columbia University conferì la laurea honoris causa in giurisprudenza a Pertini che nell’occasione tenne l’allocuzione di cui si riproduce il testo.
Lo stesso giorno tenne un discorso nel corso del banchetto offerto dalla comunità Italo-americana di New York. Nell’occasione disse tra l’altro: “Le vostre famiglie, partite dalla nostra terra, hanno creato qui il nostro “genio”, una miscela unica al mondo di capacità inventiva unita alla saldezza di valori morali e culturali eccezionali. Grazie ad essa i vostri antenati, e più recentemente i vostri più diretti ascendenti, hanno creato qui qualcosa di nuovo e di particolare, dando un contributo essenziale alla costruzione della società americana.
La comunità degli americani di sangue italiano è una realtà a cui l’ltalia guarda con particolare interesse, oltre che con sincero affetto. Noi vi consideriamo un vincolo prezioso tra l’ltalia e gli Stati Uniti, un felice legame necessario ad entrambi i Paesi. Per parte nostra noi possiamo e desideriamo aiutare la comunità Italoamericana ad approfondire il valore delle sue origini culturali, possiamo aiutarla a rendersi sempre più cosciente e fiera delle sue radici, così importanti in una società pluralistica come quella americana. A vostra volta spetta a voi il compito di essere gli ambasciatori della realtà italiana: voi potete proiettate in questo paese l’immagine dell’ltalia vera, respingendo quelle critiche, quei noti, facili luoghi comuni, che troppo spesso ignorano ciò che l’ltalia realmente è”.
Sempre il 31 marzo Pertini si recò alla sede dell’Onu dove pronunciò un discorso in cui tra l’altro affermò: “Il popolo italiano crede fermamente nei principi che sono alla base della organizzazione delle Nazioni Unite e ne sostiene con vigore la missione, consapevole delle difficoltà che s’incontrano, della complessità del quadro internazionale e della necessità di procedere con slancio e con tenacia sulla via del proseguimento della pace e della cooperazione tra i popoli. Perché, come lucidamente ha osservato Henry Laugier, agli impazienti i meccanismi delle Nazioni Unite possono sembrare troppo. lenti e lo sono se considerati con il metro di una vita umana; sono rapidi, invece, se vengono riferiti all’evoluzione dell’umanità’.
Il 1° aprile Pertini si accomiatò dagli Stati Uniti con un discorso rivolto al sindaco di New York in cui tra l’altro affermò: “Gli italiani non dimenticano, ed io per primo, che da New York partirono, nell’ora più tragica della recente storia d’ltalia, le navi cariche di aiuti per la ricostruzione del nostro paese.
Fu allora il grande sindaco di New York. Fiorello La Guardia, ad interpretare l’anima di questa città che moltiplicò ogni sforzo per sorreggere moralmente e materialmente l’ltalia distrutta e favorirne il reinserimento nella comunità dei popoli liberi.
Ma le città non hanno soltanto un’anima, ma anche un destino. Non per fortuita circostanza penso fu scelta questa città come sede delle Nazioni Unite: il destino, infatti, ha affidato a New York la custodia della carta di San Francisco, che porta, ed anche in questo vedo un segno del destino il nome di un Santo italiano, il Santo della pace.
La Carta di San Francisco è la Magna Charta dell’era moderna: essa costituisce la garanzia dei diritti e dei doveri dei popoli, la legge superiore che deve regolare i rapporti tra le nazioni del pianeta. New York a buon diritto può essere perciò considerata la capitale del mondo”.
Reco, però, anch’io un simbolico dono: reco la rinnovata amicizia del popolo italiano per quello americano, amicizia resa più profonda e feconda da tante occasioni liete e tristi della nostra comune storia e dal legame di sangue, che unisce l’Italia al ceppo del vostro popolo, quello di origine italiana, che si è distinto nonostante tutte le enormi difficoltà del trapianto, per laboriosità ed attaccamento alla patria d’adozione senza tuttavia mai dimenticare l’antica madre patria lontana. Chi, Signor Presidente, è costretto per sfuggire a persecuzioni politiche – come chi in questo momento vi parla – o alla servitù della miseria e della fame a prendere l’amara via dell’esilio, non dimentica mai la sua madrepatria.
Profondi, dunque, sono i vincoli che uniscono i nostri due popoli. E’ questa una storia lunga ed antica, che comincia con un mio conterraneo che aprì le frontiere del vecchio mondo al nuovo. Una lunga storia di uomini e di idee che il grande oceano non ha fermato.
Penso all’influenza che la rivoluzione americana esercitò sui moti per l’unità e l’indipendenza italiana, alla reciproca influenza politica e culturale che avvenne tra Italia e Stati Uniti nel primo cinquantennio dell’Ottocento, cui seguì la prima grande emigrazione di lavoro italiano verso gli Stati Uniti specialmente dalle zone più depresse del nostro mezzogiorno.
Noi italiani non possiamo inoltre dimenticare che nell’ora più buia della nostra storia nazionale – e non soltanto nostra – venne dagli Stati Uniti d’America un decisivo intervento contro il fascismo ed il nazismo, l’incoraggiamento morale, l’aiuto economico che permisero al nostro Paese distrutto e prostrato l’opera di ricostruzione e di reinserimento nella comunità internazionale.
Ripensando a quella nostra lotta non posso non ricordare a me stesso il nobile messaggio che Franklin Delano Roosevelt indirizzò al Congresso degli Stati Uniti nell’inverno di guerra del 1944.
La sua libertà era la medesima per la quale combattevamo noi, patrioti italiani sui monti e nelle città, per la quale combattevano la Resistenza europea e le armate alleate. Era una libertà completa, politica e sociale, che oggi costituisce ancora il valore fondamentale per n quale noi e voi, Signor Presidente, tuttora lottiamo. Voglio qui citare due brani di quel discorso di Roosevelt che tutti dobbiamo meditare: “Questa Repubblica ebbe le sue origini e raggiunse la sua attuale potenza sotto la protezione di alcuni diritti politici inalienabili: tra questi la libertà di parola, la libertà di stampa, la libertà di culto, il giudizio a mezzo di giuria, la garanzia contro le perquisioni egli arresti arbitrari. Questi erano i nostri diritti alla vita e alla libertà”.
Ma il grande Presidente così completava il suo pensiero: “Siamo ormai pienamente consapevoli che non può esistere nessuna vera libertà individuale la quale non sia accompagnata da sicurezza e indipendenza economica, ‘Gli uomini bisognosi non sono uomini liberi’, gli affamati ed i disoccupati sono il materiale con il quale si edificano le dittature. Oggi questi postulati economici sono accettati come verità evidenti per sé stesse. Noi abbiamo accettato per così dire una nuova dichiarazione dei diritti del cittadino, in virtù della quale possiamo gettare nuove basi per la sicurezza e la prosperità di tutti, senza riguardo alla condizione sociale, alla razza o alla fede”.
Questa nozione della libertà, Signor Presidente, va propugnata e difesa coerentemente, anche nell’ordine internazionale, nei rapporti con tutti i popoli, con le Nazioni emergenti, con il Terzo Mondo che tanto bisogno ha dell’aiuto delle nazioni industrializzate, per risolvere alternative spesso di vita e di morte che lo sovrastano.
Mentre io parlo milioni di creature umane lottano contro la fame e muoion per denutrizione. Questa strage di innocenti pesa come una condanna sulla coscienza di ogni uomo di Stato e quindi anche sulla mia coscienza.
Risolvere questi angosciosi problemi significa consolidare questa libertà esalta ta con nobili parole dal Presidente Roosevelt.
Per difendere questa libertà tutta intera ed indivisibile due volte gli Stati Uniti sono venuti nel Vecchio continente: due sbarchi memorabili che ho personalment vissuto nel primo e nel secondo Conflitto mondiale e dei quali resta il perenne monumento nelle bianche lapidi che ricordano i soldati americani caduti per la libertà dell’Europa, caduti per la libertà dell’Europa, perché gli Stati Uniti vennero nel nostro continente non spinti da bramosie di conquiste, ma solo dal fermo propsito di impedire il sopravvento dei regimi autoritari. Vennero per difendere la nostra libertà
Signor Presidente,
l’Italia persegue una politica di dialogo e di distensione, consapevole della necessità di contatti che valgano a comprendere le posizioni delle altre parti ed a far apprrezzare le proprie, e nel convincimento che la distensione sia l’unica via possibile per evitare una pericolosa spirale involutiva.
Di qui l’utilità di rafforzare ancora la solidarietà fra noi, attraverso conta intensi ed approfonditi, franchi e diretti, tra i responsabili dei Paesi alleati.
Proprio oggi cade il 25° anniversario di un atto di pace e di solidarietà fondamentale nella storia del dopoguerra: la firma in Campidoglio dei Trattati di Roma istitutivi delle Comunità Europee.
Desidero celebrare qui a Washington quell’avvenimento, che fu accolto in merica e in Europa come un segno di speranza.
Quella speranza non è andata delusa nonostante l’impegno graduale che richiede ogni grande processo storico.
La Comunità oggi, nel dialogo con gli alleati Stati Uniti, nell’apertura verso i popoli di tutti i continenti è una grande realtà che opera a favore della pace e progresso degli uomini.
D’altra parte proprio in questo difficile periodo della vita internazionale, si convinti, e lo abbiamo più volte ribadito, che il dialogo debba essere manten nella fermezza dei propri principi e nella chiarezza, quale unica via percorrere fuori dalle secche di una pericolosa spirale involutiva dei rapporti internazionali ma riteniamo nello stesso tempo che il processo di distensione debba significa qualcosa di più di un semplice dialogo fra Stati: in effetti, potrà favorirne l’azione solo un clima generale, capace di concorrere al mantenimento di rapporti amichevoli e fiduciosi, basato su uniformità di comportamenti e sul rispetto libertà fondamentali dell’individuo e che debbano essere universalmente intese, sopra di ogni appartenenza ideologica.
Per questo l’ltalia e gli Stati Uniti non hanno potuto mancare di far conoscere la loro condanna per l’involuzione cui è stata costretta, a seguito di indebite e interferenze esterne, una nobile nazione come quella polacca, situata nel centro dell’Europa, così generosa verso la comune cultura di tutto il mondo civile e des soltanto di percorrere autonomamente le strade del proprio progresso sociale.
Occorre che sia ripristinata la piena dignità della Polonia, perché la collaborazione internazionale ed in particolare il dialogo est – ovest tuttora fondamentale per gli equilibri mondiali, prendano il giusto corso. Sia lascIato il nobile polacco padrone del proprio destino. E sia posto termine anche alla tragedia del popolo afghano. Come uomo libero e come ex partigiano, che si è battuto contro lo straniero per l’indipendenza della propria Patria, invio la mia fraterna solidarietà ai partigiani afghani che coraggiosamente si battono per la liberazione della loro patria dalla dominazione straniera.
Né si possono dimenticare tutti i Paesi nei quali si lotta per la difendere il ristabilimento dei diritti umani offesi: dove i diritti umani e civili sono congelati, dove la vita umana non è rispettata e creature innocenti e inermi vengono brutalmente trucidate, ivi noi dobbiamo essere con tutta la nostra fraterna solidarietà. Se questa solidarietà non offrissimo in modo concreto, rinneghe la nostra coscienza d’uomini liberi e il nostro passato.
Mi consenta, in proposito, Signor Presidente, di esortare il libero popolo degli Stati Uniti e quanti rispettano la vita umana ed hanno a cuore la pace, osservare con indifferenza l’opera criminosa che nel mio Paese sta consumando nel terrorismo. Questa attività criminosa ha avuto inizio con la crudele uccisione uomo politico dal forte ingegno e dal cuore puro, legato a me da fraterna amicizia, l’Onorevole Aldo Moro. Da allora episodi crudeli di terrorismo hanno, turbato e turbano la vita nel mio Paese. Ma deve essere messa in evidenza la fermezza e il coraggio con cui popolo, al di sopra di ogni differenziazione politica, affronta, senza cedimeliti, ì l terrorismo. Sapremo un giorno chi li manovra, chi con il terrorismo si prefigge di paralizzare l’ltalia, di far saltare questo ponte democratico che unisce l’Europa all’Africa, al Medio Oriente. Se per dannata ipotesi il terrorismo riuscisse in questo suo intento, non solo sarebbe sconvolta la pace nel bacino Mediterraneo, ma nel mondo intero.
Non siamo qui ad elemosinare aiuti, siamo qui a riaffermare la nostra volontà di opporci con tutte le nostre forze al terrorismo, sicuri di operare coscientemente solo nell’interesse della nostra democrazia sorta dalla Resistenza, ma anche nell’interesse della pace nel mondo.
Mi consenta, Signor Presidente, di ricordare a Lei ed ai presenti, con la pronta, generosa e umana solidarietà il mio popolo, tutto il mio popolo, si è intorno alla famiglia del Generale statunitense Dozier e come abbia trepidato sua sorte. Coraggioso soldato che con fermezza, serenità a saputo tenere testa ai terroristi. Io, Signor Presidente, ho avuto l’onore di ricevere al Quirinale Dozier, i suoi figli e la Signora Dozier, donna coraggiosa e fiera, del compagno di sua vita. Quelle ore trascorse al Quirinale con il Generale Dozier la sua famiglia non saranno da me dimenticate. Parlando apertamente, come fossimo antichi amici, mi sono rivisto partigiano della libertà a fianco di un partigiano della libertà. Il popolo americano può andare orgoglioso di avere a sua difesa difesa della pace nel mondo simili soldati.
Signor Presidente, la naturale collocazione dell’ltalia nell’ Alleanza Atlantica ed il suo impegno nella solidarietà Occidentale non vanno disgiunte dalla convinzione profondamente sentita nel mio Paese, che sia indispensabile procedere al rafforzamento di quell’altro polo di stabilità e di sicurezza per la situazione mondiale che è l’unione politica del Vecchio continente.
A questa unione l’ltalia repubblicana e democratica dedica da più di trent’anni le sue migliori energie politiche e intellettuali, unione che – concepita come un superamento di vecchi, sterili e sanguinosi contrasti – raccoglie oggi il consenso convinto di tutte le forze politiche e democratiche del mio Paese. La Comunità Europea, il suo consolidamento e la sua progressiva estensione a nuovi settori, secondo le proposte avanzate dai Governi italiano e tedesco, sono un gesto di pace, di responsabilità negli equilibri globali, di solidarietà verso i Paesi che hanno ancora davanti a se drammatici traguardi di sviluppo civile e sociale.
Signor Presidente, generazioni e generazioni venute da ogni parte del mondo hanno trovato negli Stati Uniti d’America la loro terra e la loro Patria. Erano uomini e donne perseguitati per ragioni politiche e religiose, oppure sospinti da una fame secolare o dalla impossibilità di realizzarsi nella terra di origine. Così nella storia dell’ America si ritrova costantemente il riferimento all’uomo in tutta la sua dignità, nella ricerca della sua felicità, nel rispetto della legge che preserva e regola l’umana convivenza. La profonda umanità e la generosità dell’ America che hanno trovato il simbolo più popolare nella statua della libertà nel porto di New York, costituiscono più che la forza militare e la potenza economica, la vera autentica grandezza degli Stati Uniti.
Quella statua scorsero nelle brume dell’approdo con le lacrime agli occhi gli esuli antifascisti ed antinazisti, gli ebrei perseguitati, i contadini poveri, ma coraggiosi ed operosi, che dettero agli Stati Uniti intelletto leale e braccia forti. Quella statua – è il mio più affettuoso augurio – dovrà rimanere anche nei secoli futuri il simbolo della libertà e della generosità dell’America, nemica dei dittatori, degli intolleranti, degli statolatri, perche retta da un governo che proviene dal popolo che governa con il popolo e per il popolo.
Aveva dunque ragione Whitman nel Canto della Sequoia quando profeticamente scrisse i versi immortali: ” Vedo il genio del moderno figlio del reale e dell’ideale, aprire la strada all’immensa umanità, all’autentica America, erede di un grande passato, perché costruisca un più grande futuro”.
Signor Presidente, alla salvaguardia e al consolidamento dei valori che sono alla base della nostra civiltà, Ella da cittadino e da uomo politico prima, e ora quale capo di questa grande Nazione e si è adoperato e si adopera con convincimento ed impegno, affinche essi, tutelati all’interno del Suo Paese, possano essere promossi sempre più ed Ovunque nel mondo.
E con questo auspicio levo il calice alla salute Sua, Signor Presidente, della eletta Sua Consorte, dell’amico popolo degli Stati Uniti e dei distinti Ospiti qui convenuti.