Lettera di Sandro Pertini a Filippo Turati (15 dicembre 1927)
SCRITTI E DISCORSI DI SANDRO PERTINI
LETTERA A TURATI
Lettera di Pertini a Filippo Turati, datata Nizza, 15 dicembre 1921, pubblicata in Esilio e morte di Filippo Turati (1926-1932), a cura dì Alessandro Schiavi, Opere Nuove, Roma 1956, pp. 99-102, ove sono pubblicate anche altre lettere scritte in quegli anni di esilio da Pertini a Turati. Rosselli e gli altri, tornati in Italia dopo aver accompagnato, con Pertini, Turati in Francia, erano stati arrestati e condannati nel processo svoltosi a Savona nel settembre precedente a Pertini era stato processato e condannato per aver insultato un noto fascista savonese incontrato in strada a Nizza.
Maestro, se sapesse quanto bene mi ha fatto la sua lettera! L’ho già letta due volte e la leggerò ancora. Dunque ella mi vuole un po’ di bene, se mi ritiene degno di conoscere le sue intime sofferenze. E solo questo da tempo andavo chiedendo al mio destino, quale compenso delle tristezze della mia nuova vita. Adesso sono contento.
Ma mi rattrista il pensiero di non poter donare io un po’ di conforto a lei. Non posso – Maestro – perché… pure io soffro la sua stessa pena. Non l’ho mai detto a nessuno, perché non è facile essere compresi. E poi gli uomini sanno avvicinarsi più alle gioie dei loro vicini, che ai dolori.
Ma adesso sento, che ella può ascoltarmi. Sì – Maestro – anche a me sembra “inutile” l’esilio. Da molto – anzi potrei dire sino dai primi giorni – ho avuto questa dolorosa impressione, che in seguito si è trasformata in un vero tormento. Anche per questo lasciai Parigi. E venni qui a lavorare. Il lavoro manuale in un primo tempo mi donò lo stesso sollievo che danno gli stupefacenti. La fatica materiale continua abbrutisce un po’ l’uomo, non lo lascia pensare – ma questo benefico abulimento durò poco. Man mano che il fisico andava abituandosi alla fatica, lo spirito riprendeva i suoi diritti – e allora ecco ritornare l’idea ossessionante: dare una ragione alla nostra vita. E tale era l’avvilimento e la tristezza di vivere così inutilmente, che più dì una volta pensai dì lasciare questa terra di esilio, per ritornare in Italia. Così sarei entrato anch’io nel carcere, che ospita i nostri amici – Parri, Rosselli, Da Bove’ – e la mia vita finalmente avrebbe trovato una ragione d’essere. Ma poi pensai che male sarebbe stato interpretato il mio gesto. L’avrebbero giudicato un vano gesto di orgoglio o di debolezza, se non peggio ancora. Continuai a lavorare e ad attendere sempre.
Da un anno – Maestro – siamo in esilio e ogni buona ed alta speranza, che qui con me avevo portata – va oggi morendo nel mio cuore.
Mi guardo attorno e non vedo che dei poveri naufraghi, che ancora non si sono riavuti dal primo sgomento o peggio vedo dei piccoli uomini, che sembrano solo preoccuparsi di miserie e non pensano alla tragedia (e questa volta la parola non sa di vana retorica, purtroppo!) che sovrasta su tutti noi, sulla nostra Patria. Pensano alla carica, ai pettegolezzi, alle “beghe” – agli ordini del giorno – e a cento altre miserie.
Altri – poi – più pratici hanno pensato di trasformare l’esilio in un “buon commercio” e così attendono beatamente la fine di questa situazione piena di dolore e di vergogna, pensando che l’alone di… comodo martirio, che si va formando intorno alla loro persona, costituirà domani un’ottima cambiale da presentare agli elettori tornati… finalmente liberi!
Ma pare che questo sia accaduto anche nel ’98! è vero maestro? Non cambiano gli uomini – sembrano fatti a serie – anche l’umanità è standardizzata.
E di là vengono voci, che sembrano chiamare noi, che ci ostiniamo a credere e a sperare in qualche cosa di più alto.
Ed io ho paura di non saper resistere a questo richiamo, Maestro. Sento la nostalgia della mia terra, della lotta, che conducevo nell’ombra nella piccola Savona sotto il continuo pericolo. Allora si viveva.
E quanta solidarietà si trovava laggiù e come tutti i cuori si erano liberati di ogni piccola miseria, Maestro, ricorda il nostro ultimo Convegno’ tenuto in Italia, in casa Rosselli? Mai lo dimenticherò, lasciò in me un profondo ricordo. Tutti noi allora sentimmo, che i nostri cuori, al disopra delle divergenze di idee, battevano all’unisono. Io tornai a Savona contento e ancora una volta sentii, che per la nostra fede si poteva offrire anche la vita. E non vanamente questo promettemmo a noi stessi, perché, in questa ultima fase della nostra lotta in Italia, più volte la morte ci passò vicino.
Poi venne “la grande partenza” e dopo questo esilio triste ed amaro non tanto per i suoi sacrifici e per le sue rinunce, quanto per le sue delusioni. E bisogna tornare a quel passato, per trovarci una ragione di vita da donare al nostro povero presente.
Io poi vivo delle grandi giornate passate con lei – con Parri e con Rosselli.
Vivo di questi ricordi! E siccome mi sono tanto cari avrei pensato di realizzare il suo desiderio, di vederli riuniti in una edizione elegante.
D’accordo con Montàsini sto cercando un buon tipografo – io poi penserei a raccogliere tutto il materiale (fotografie di cui ho le negative – documenti del processo – deposizioni – interrogatori – arringhe – non come furono riprodotte sino ad oggi – ma possibilmente più esatte e più complete). Ho scritto subito a Savona per avere copia dell’intera sentenza.
Lei poi dovrebbe scrivere la storia o il diario della sua evasione, Treves e Nenni, i “profili” di Parri e Rosselli. Cosa ne dice di questa mia proposta concreta? Qui molto probabilmente – anzi direi con certezza – troveremo la somma da versare in anticipo – la Concentrazione poi dovrebbe assumersi l’obbligo di diffondere la pubblicazione.
Ad ogni modo attendo una sua risposta con indicazioni e consigli precisi.
A Zannerini ho fatto i suoi saluti e gli ho detto quanto lei lo ricordi con vero affetto. Mi ha promesso di scriverle.
Sì – Maestro – io ho intenzione di continuare questo mestiere, in cui ormai mi sono specializzato, per diverse ragioni! Prima di tutto perché per me il lavorare è una necessità per vivere indipendente non alle spalle di qualcuno – poi, creda – è impossibile al presente trovare una occupazione più… intellettuale al di fuori delle nostre organizzazioni – ora sinceramente le confesso, che ripugna al mio modo di sentire la lotta per una idea, diventare “impiegato” o “funzionario” di una organizzazione. E poi questo mestiere non è faticoso. Il guaio è che presentemente sono disoccupato – perché il mio padrone dopo il processo, che ho avuto qui il 24 novembre 3 – mi ha messo alla porta! Ma non mi spavento – troverò lavoro altrove – quando si ha voglia di lavorare si trova sempre.
Mi duole di non poter venire a Parigi per il Convegno. Sarei venuto volentieri – perché così avrei potuto rivedere lei.
Dica ad Oxilia, che presto gli manderò le fotografie che desidera.
Mi ricordi agli amici tutti – ossequi alla Signorina Bianca.
Quando può mi scriva – Maestro – e non mi lasci molto senza sue notizie.
Saluti affettuosi suo Pertini
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