Nel 35º anniversario dell’eccidio di Boves (12 novembre 1978)
Cittadini di Boves, partigiani italiani,
eccoci qui a ricordare ancora una volta la lotta di allora, ma non per fare della vana retorica e del vano reducismo. Vogliamo ricordare soprattutto perché i giovani non sanno. Io mi sono sempre chiesto questo: come mai nelle scuole italiane non viene introdotta la storia dell’antifascismo e della Resistenza? Se avessimo introdotto questa storia nelle scuole già dopo la Liberazione, se avessimo fatto sapere che cosa è costata la libertà al popolo italiano, molti giovani che oggi sono su una strada di dannazione, sarebbero invece al nostro fianco, a difendere la democrazia e la Repubblica.
Ricordo più che a voi, a me stesso il martirio di Boves, la tremenda e terribile giornata che qualche anziano qui presente custodisce nel suo animo, quella del 19 settembre del 1943. Don Giuseppe Bernardi, parroco di Boves, con Antonio Vassallo, d’accordo con il comando tedesco va a trattare con i partigiani per ottenere la restituzione di due prigionieri tedeschi. E Peiper e gli altri dicono, mentendo ancora una volta: fateci restituire i due prigionieri e noi non compiremo nessuna rappresaglia, ce ne andremo. Don Bernardi e Antonio Vassallo prendono contatto con i partigiani, riescono ad ottenere il rilascio dei due prigionieri tedeschi, e Don Bernardi, con carità cristiana, porta via anche la salma di un tedesco ucciso per consegnarla al colonnello Peiper. Ed il colonnello Peiper riceve i due prigionieri, riceve la salma del suo, e poi, ancora una volta mentendo, come hanno sempre mentito i criminali e i briganti, dà inizio alla spietata rappresaglia. No, noi non siamo fatti della loro stoffa. Egli è morto. Ed allora dimentichiamo questo colonnello che ha pagato con la morte i suoi misfatti… Don Bernardi e Vassallo vengono fatti salire su un camion tedesco e costretti ad assistere alla rappresaglia: distrutte e incendiate le case, 26 cittadini vengono trucidati. E poi anche Vassallo e Don Bernardi vengono crudelmente assassinati e i loro cadaveri bruciati.
Ma la Bisalta resiste.
Poi vengono i giorni e le notti tremende che vanno dal 31 dicembre 1943 al 3 gennaio 1944. Boves nuovamente devastata e con Boves la Rivoira, 157 partigiani cadono in combattimento. Cadono anche ragazzi non ancora ventenni, o giovani che mi ascoltate: Giulio Marchisio, Carlo Cavalera, Barale. E i tedeschi incendiano 256 case di Rivoira e Castellar.
Ma la Bisalta resiste, la Bisalta questo cuore forte e ardente di Cuneo Medaglia d’Oro e capitale morale della Resistenza, madre di Duccio Galimberti eroe nazionale. Ed io mi sento veramente orgoglioso di essere stato nominato cittadino onorario di Cuneo.
Questo noi dobbiamo insegnare ai nostri giovani. Nelle nostre scuole, giustamente, si fa studiare la storia del Primo Risorgimento. Anche noi ci siamo esaltati studiando le gesta dei nostri padri che portarono all’unità nazionale il popolo italiano. Abbiamo rabbrividito, giovanotti, quando ci raccontavano delle spietatezze dei generali di Radetzki. E perché non far conoscere ai nostri giovani quello che è stato fatto a Boves, alle Fosse Ardeatine, a Fossoli, al Turchino e a Marzabotto? Ci siamo esaltati quando i nostri maestri ci hanno parlato dei Martiri del fulgente Belfiore. E come e perché tacere ai nostri giovani come seppero affrontare la morte i partigiani del Secondo Risorgimento?
Quinto Bevilacqua, operaio, qualche istante prima di andare al Martinetto e affrontare il plotone di esecuzione scrive ai suoi una breve lettera: “Non piangete perché nemmeno io piango mentre vi scrivo e vado incontro alla morte con risolutezza”. Don Aldo Mei, 32 anni: “Muoio vittima dell’odio che tiranneggia il mondo. Muoio perché trionfi la carità cristiana”. Eusebio Giamboni, operaio: “Fra poche ore io certamente non sarò più. Ma sta pure certa che sarò calmo scrive alla moglie e tranquillo di fronte al plotone di esecuzione”. Tenente Franco Balbis, 32 anni: “Possa il mio grido di ‘Viva l’Italia libera’ sovrastare e smorzare il crepitio dei moschetti che mi daranno la morte”. Duccio Galiberti: “Ho agito a fin di bene e per un’idea. Per questo sono sereno e dovete esserlo anche voi”.
Perché non far conoscere questo ai nostri giovani?
Udite, giovani che mi ascoltate, udite una lettera scritta da uno studente di 18 anni prima di andare di fronte al plotone di esecuzione. Giordano Cavestro, detto Mirko, scrive ai suoi compagni questa lettera, che tutte le volte che io la leggo suscita in me molta emozione: “Cari compagni, andiamo a raggiungere gli altri tre gloriosi compagni morti per la salvezza e la gloria d’Italia. Voi sapete il compito che vi tocca. Io muoio, ma l’idea vivrà nel futuro luminoso, grande e bello. Siamo alla fine di tutti i mali. Questi giorni sono come gli ultimi giorni di vita di un grosso mostro che vuol fare più vittime possibile. Se vivrete tocca a voi rifare questa povera Italia, che è così bella, che ha un sole così caldo, le mamme così buone e le ragazze così care. La mia giovinezza è spezzata. Ma sono sicuro che servirà di esempio. Sui nostri corpi si farà il grande faro della libertà”. Ecco come hanno saputo morire i partigiani, degni dei patrioti del primo Risorgimento.
Noi ci siamo esaltati quando ci hanno parlato del martirio di Don Tassoni e di padre Ugo Bassi. Perché non ricordare ai nostri giovani come seppero affrontare il plotone di esecuzione don Minzoni, don Morosini, don Bobbio? Noi ci siamo esaltati sentendo parlare dei fratelli Bandiera e dei fratelli Cairoli. E perché non ricordare ai nostri giovani come seppero morire i fratelli Di Dio e i sette fratelli Cervi? Le Cinque Giornate di Milano e le Dieci Giornate di Brescia? E perché non ricordare, amico Stammati, l’insurrezione di Firenze, l’insurrezione di Genova, l’insurrezione di Bologna, l’insurrezione di Milano? è il secondo Risorgimento. Ma non è storia di un partito o di una fazione, è storia del popolo italiano.
Noi abbiamo letto con commozione le “Ricordanze” di Luigi Settembrini e “Le mie prigioni” di Silvio Pellico. E perché non far leggere e meditare nelle nostre scuole “Le ultime lettere dei condannati a morte” e le virili, forti lettere di un mio indimenticabile compagno di carcere, le lettere di Antonio Granisci? Giustamente nelle scuole, parlando del primo Risorgimento, si mette in evidenza il contributo, la forza e l’eroismo dell’esercito piemontese che, dopo un’iniziale sconfitta, prese slancio per le vittorie che poi portarono all’unità della nostra nazione. E perché non far sapere quello che ha fatto l’esercito italiano nel secondo Risorgimento?
Troppe volte, partigiani che mi ascoltate, quando si rievoca la Resistenza si tace di quanto ha fatto l’esercito italiano nel secondo Risorgimento. Io, per esempio, ho come consigliere militare un coraggioso aviatore partigiano che si è battuto in Jugoslavia, il generale Bernardini. Bene, perché non dire ai nostri giovani quello che hanno fatto le Divisioni “Ariete” e “Piave” che si batterono nel Lazio? I Granatieri del Battaglione “Sassari” ed io ero presente allora con loro si batterono a Porta San Paolo col popolo minuto di Roma: eravamo armati io e il popolo di sassi e di rabbia, perché il Re era fuggito a Pescara con Badoglio, comportandosi in maniera non degna certamente del suo antenato, Vittorio Emanuele 11, che invece collaborò a portare a unità la nostra Nazione. Le Divisioni “Acqui” a Cefalonia e a Corfù, non lo sanno i nostri giovani, si batterono senza speranza per mantenere fede al giuramento di fedeltà alla Patria e alla Nazione.
I superstiti delle divisioni “Murgie”, “Macerata” e “Zara” danno vita alla formazione partigiana “Mameli”. E i reparti militari con i partigiani fanno della Bisalta una roccaforte inespugnabile.
Seicentomila tra ufficiali e soldati vengono deportati nei campi di concentramento. E mi si presenta alla mente la figura dolorante di un mio fratello ucciso crudelmente a Flossemburg.
Trentamila di questi militari non fecero più ritorno. Settemila furono i deportati carabinieri. E mi basti per i carabinieri ricordare solo un episodio, ma veramente significativo, che i nostri giovani non conoscono, l’episodio del brigadiere Salvo D’Acquisto, ed io non comprendo, Stammati, perché questo non Venga insegnato nelle scuole. Questo giovane brigadiere non aveva che 25 anni, ma pur di salvare la vita a 25 ostaggi si presenta al comando tedesco e dice: “Sono io l’autore di quell’attentato”, e paga con la vita, e salva l’esistenza dei 25 ostaggi. Perché non insegnare nelle scuole nostre tutto questo? è la storia del secondo Risorgimento italiano.
Però vi è una differenza tra il primo e il secondo Risorgimento. Nel primo Risorgimento protagonista è stata la media borghesia italiana, ed anche parte dell’aristocrazia piemontese, lombarda e veneta, anche se poi i figli del popolo risposero agli appelli di Garibaldi e di Pisacane. Protagonista, invece, del secondo Risorgimento è stata la classe lavoratrice italiana. A mio avviso, ed è mia opinione personale che da buon democratico non voglio imporre a nessuno, a mio avviso al secondo Risorgimento partecipa la classe lavoratrice, ma vi partecipava già dalla lotta antifascista. Cioè io penso che se non vi fossero stati i vent’anni di lotta contro il fascismo, noi avremmo avuto durante l’occupazione tedesca dei focolai di resistenza, questo non vi è dubbio, ma non avremmo avuto la Resistenza come ci si presenta oggi, in modo organico e come fatto storico. Tanto è vero che i reduci dalle galere e dal confino diventano poi i quadri delle formazioni partigiane.
Bene, io ho detto che protagonista è stata la classe lavoratrice italiana. Ecco, dinanzi al tribunale speciale, dove io ho avuto l’onore di comparire, vengono pronunciate 4596 condanne, 3898 contro operai e artigiani, 546 contro contadini, 220 contro professionisti, 164 contro studenti, 37 contro donne casalinghe. E trecento furono i confinati. Appartenevano tutti alla classe lavoratrice. Poi vi sono gli scioperi del 1943 e del 1944. Non furono scioperi per un aumento di salario, ma per sabotare l’attività dell’esercito nazista, gli scioperi alla Fiat, gli scioperi a Milano. Bene, signori, non dimentichiamo mai questo: dopo la Liberazione, quando i tedeschi stavano per lasciare o si apprestavano a lasciare le nostre città, chi è che ha difeso il porto di Genova? Sono stati i portuali. Chi ha difeso i complessi industriali? Sono state le maestranze a difendere le fabbriche. è dunque la classe lavoratrice che diventa protagonista del secondo Risorgimento.
E la classe lavoratrice, signori è storia questa, non vuole essere polemica che era stata messa ai margini della storia italiana: era stata considerata oggetto della storia italiana. Ebbene, oggi, dopo il secondo Risorgimento la classe lavoratrice ha cessato di essere oggetto di storia del nostro Paese per diventare soggetto e protagonista della storia italiana.
Ci siamo battuti per cacciare via i tedeschi e i resti del fascismo, anche se poi abbiamo avuto qualche rigurgito che si va spegnendo. Ci siamo battuti per la libertà, per la libertà che per me è un bene prezioso e inalienabile. Dinanzi al Parlamento, quando sono stato insediato come Presidente, ho detto: “Se a me socialista da sempre, da 62 anni, offrissero la più radicale delle riforme sociali a prezzo della libertà, io la rifiuterei, perché la libertà non può mai essere barattata”.
Io ho ascoltato con molta attenzione e commozione l’omelia pronunciata in Piazza San Pietro dal nuovo Pontefice, col quale cittadini di Boves, è una confessione che vi faccio ho avuto un colloquio il 24 ottobre. Io non sono un credente, e non lo dico con iattanza, ma credo di essere un cristiano. Questo colloquio si è svolto su un terreno umano, leale, franco, io non lo dimenticherò mai, per la rispondenza che nell’animo hanno avuto i miei pensieri e i miei sentimenti. E l’abbraccio che il Papa mi ha dato prima che lasciasi il Vaticano, ha riempito l’animo mio di commozione. Quel giorno gli dissi: “Ascoltando la sua omelia in Piazza San Pietro, di fronte a duecentomila persone, ella ha fatto un’affermazione che sento mia, ha affermato che al centro della società deve stare l’uomo”. Ed io soggiungo: “l’uomo padrone dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti”.
Purtroppo, vi sono ancora molti, troppi Paesi nel mondo dove questa libertà non esiste, dove l’uomo è ancora schiavo, dove non gode delle libertà civili. Ebbene come Presidente della Repubblica, pacatamente, dico questo: avete firmato il trattato di Helsinki, ebbene cercate di essere fedeli alle norme che sono contemplate in questo trattato. Voi fate parte delle Nazioni Unite: a fondamento delle Nazioni Unite sta la Carta dei Diritti dell’uomo, dovete essere fedeli alla Carta dei diritti dell’uomo. Senza illecite interferenze noi diamo la nostra solidarietà a quanti nel mondo si battono per la loro libertà. Signori, io sono orgoglioso di essere cittadino italiano, perché amo questo mio popolo, che non è inferiore a nessun altro popolo, popolo generoso che ha saputo rialzarsi da tante sventure, quella dell’ultima guerra, le rovine che circondavano l’Italia, le nostre città. Sono orgoglioso, dicevo, di essere cittadino italiano, ma mi sento anche, signori, cittadino del mondo. E dove vi è un uomo che si batte per la libertà, dove vi è un uomo che si batte contro la fame e la miseria, io sono al suo fianco con la mia solidarietà umana di cittadino del mondo.
Amici, patrioti, noi non ci siamo battuti soltanto per la nostra libertà, ci siamo battuti anche per la libertà dei nostri avversari. Io sono sempre rimasto fedele, amico Bucalossi, all’insegnamento di Voltaire, che diceva al suo avversario: “Io combatto la tua idea perché è contraria alla mia, ma sono pronto a battermi fino al sacrificio della mia vita perché la tua idea tu possa esprimerla sempre liberamente”. Ma non basta la libertà in senso astratto, in senso politico e morale. Se non vogliamo che la libertà resti una conquista fragile che può essere spazzata via al primo vento della reazione, se vogliamo cioè una conquista solida, che per diventare tale deve affondare le proprie radici nella classe lavoratrice italiana, dobbiamo dare alla libertà il suo naturale contenuto economico e sociale. No:n vi può essere libertà senza giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà. Ed allora, signori, e lo dico al rappresentante del Governo, perché il Governo Ra più poteri di quelli che ha il Presidente della Repubblica, nonché alla classe politica: bisogna risolvere molti problemi di carattere sociale che stanno dinanzi al popolo italiano. Il problema dell’occupazione, per esempio. Chi vi parla ha conosciuto la disoccupazione quando, portato dagli eventi del suo Paese in terra straniera, ha dovuto fare l’operaio. La disoccupazione è un male tremendo. Ma, badate, è anche un terreno fertile per il terrorismo, di cui parlerò fra poco. Vi è poi il problema della casa. Ma perché una famiglia, un operaio quando ha finito di lavorare non può avere una casa confortevole, dignitosa, dove deve trovare un meritato riposo alla sua fatica di ogni giorno? E ancora: la salute. Oh, amico Stammati, le famiglie benestanti, anche se vi sono scioperi negli ospedali, non si preoccupano. è vero, professore e amico Bucalossi? Mandano i loro malati nelle cliniche italiane, e se le cliniche italiane, per loro non sono confortevoli, li mandano in Svizzera, dove qualcuno di essi, per carità data la carica che ricopro e, non devo fare insinuazioni, può darsi che abbia depositato qualche gruzzolo; può darsi, io non ne sono sicuro. Ed allora bisogna attrezzare gli ospedali, fare in modo che ogni famiglia possa curare il suo congiunto, ma lo possa veramente curare anche se non ha mezzi.
Anche la scuola deve essere attrezzata. Bisogna fare in modo che la popolazione studentesca possa avere una scuola veramente confortevole. Bisogna attrezzare le nostre scuole, perché la democrazia deve reggersi anche direi e soprattutto sulla cultura. Noi dobbiamo diffondere la cultura nel nostro popolo. Perché il nostro popolo coltivando la mente rafforza anche il proprio animo democratico, il proprio amore per la libertà.
Libertà, ho detto. Ma noi non concederemo mai la libertà di uccidere la libertà, questo non lo potremo mai concedere! Parliamo di questo male che tormenta e inquieta e sconvolge la nostra Patria, il terrorismo. Io pensavo che ormai, dopo la Liberazione, non si sarebbe più verificato quello che nella mia giovinezza avevo visto e avevo anche sofferto. Allora erano le squadracce fasciste che si scatenavano, e ora invece vi è questo male tremendo che è il terrorismo. Ancora in me dura la commozione, cittadini di Boves, che mi ha colto venerdì quando andai a Frosinone per rendere omaggio alla salma del Procuratore della Repubblica, dell’agente e dell’autista. E vidi, lì, i familiari dell’agente, dell’autista e del procuratore. Non avevano più lacrime, ormai, al loro dolore: erano impietriti. Cercavo di parlare loro, ma le parole, signori, non servono a nulla. Una madre mi ha detto: “Ma chi mi ridarà più mio figlio?”. è tremendo questo.
E mi sia consentito di ricordare che sette sono i magistrati crudelmente assassinati. Ora, signori, possiamo fare polemiche quante vogliamo, possiamo dare dei giudizi, ma almeno in questo momento cerchiamo di rispettare la magistratura perché sta pagando un alto prezzo pur di svolgere il suo compito e la sua missione.
E mi sia consentito di ricordare qui, in questa terra di Piemonte, non per non ricordare tutti gli altri, un nome solo che vale tutti gli altri, Carlo Casalegno, che e stato crudelmente ucciso. Che male aveva fatto questo nostro collega in giornalismo? Quale male, qual era la sua colpa? Era un uomo libero, pacato, umano, sereno. Io leggevo sempre con interesse i suoi articoli sulla stampa, ed è stato assassinato.
E poi si presenta alla mia mente la figura a me più cara. Era un mio amico, era da me tanto stimato per il suo ingegno, per la sua cultura, per la sua coscienza di uomo onesto, Aldo Moro. Questi brigatisti lo hanno crudelmente ucciso fisicamente. Signori, stiamo attenti di non uccidere moralmente Moro, lasciamolo, lasciatelo in pace. Smettiamola, signori, con questo voler indagare quasi con la lente del detective le lettere e i memoriali che giungono, lasciamo che riposi in pace questo nostro amico che ha pagato con la vita. Che cosa aveva fatto per meritare la morte? Ma guardate che se voi continuate in questa indagine spietata voi ucciderete moralmente Moro dopo che gli altri lo hanno ucciso fisicamente.
Brigatisti rossi! No, noi li abbiamo visti combattere, i rossi, nella guerra partigiana con molto coraggio e con molto valore per i nobili ideali. No; costoro sono dei briganti e dei criminali. E di fronte a dei criminali, costi quel che costi, non bisogna cedere. Bisogna difendere questa Repubblica! Qualcuno ha affermato : né con la Repubblica, con lo Stato, né con i terroristi. Antifascista del primo momento, non dell’8 settembre, io ricordo che nel primo dopoguerra vi erano delle persone beni pensanti che dicevano: né con il fascismo né con gli antifascismi, e poi finirono per adeguarsi al fascismo, anche senza prendere la tessera fascista, finirono per adeguarsi supinamente al fascismo. No, questa forma di neutralità in questo momento, non esito a dirlo, è una forma di viltà.
Bisogna difendere questa Repubblica perché, patrioti e partigiani che mi ascoltate, questa Repubblica non ci è stata donata su un piatto d’argento, l’avete conquistata voi con la vostra lotta e con il vostro sacrificio, l’hanno conquistata quelli della Bisalta, l’hanno conquistata i martiri di Boves, l’hanno conquistata tutti coloro che hanno partecipato al secondo Risorgimento!
è una vostra conquista e dobbiamo difenderla. è vero, avrà dei difetti, delle imperfezioni, ed eccoci qui pronti a correggere questi difetti e queste imperfezioni, vi è un Parlamento, un libero Parlamento per farlo, e noi dobbiamo adoperarci perché questa Repubblica diventi umana e forte. Umana con i deboli, ma forte con i colpevoli e con i terroristi senza pietà. E non dimenticate ripeto quello che è stato già detto da altri che abbiamo una delle più perfette Carte Costituzionali che esistono nel mondo. Ce lo dicono i giuristi degli altri Paesi. Ebbene dietro ogni articolo della Carta costituzionale stanno centinaia e centinaia di partigiani che sono caduti per la libertà del popolo italiano.
E adesso l’ultima mia parola, come sempre, è ai giovani.
Io credo in voi giovani. Se non credessi in voi dovrei disperare dell’avvenire della Patria, perché non siamo più noi che rappresentiamo l’avvenire della Patria, siete voi giovani che con la vostra libertà, con il vostro entusiasmo lo rappresentate. Io in voi credo senz’altro, e mi avvicino con questo animo a voi che mi ascoltate. Non badate ai miei capelli bianchi, ascoltate il mio animo che è giovane come il vostro. Voi non avete bisogno di prediche, voi avete bisogno di esempi, esempi di onestà, di coerenza e di altruismo. La classe politica non deve fare prediche ai giovani, deve dare questi esempi se vogliamo che i giovani credano in noi.
Non usate però la violenza, o giovani, per far valere le vostre ragioni, per esprimere le vostre passioni e gli entusiasmi. Siete giovani, e guai se voi non foste animati da passioni e da entusiasmi! Ma non armate la vostra mano, altrimenti scendete sul terreno dei criminali terroristi. Armate il vostro animo di una fede sicura, scegliete voi. Io non sono mai stato un mercante della politica che va sulle piazze ad offrire la propria posizione politica quasi essa racchiudesse la verità assoluta. Siete liberi di scegliere, purché questa scelta presupponga il principio di libertà, perché se non presuppone il principio di libertà dovete respingerla, altrimenti potreste avviarvi verso la rovina morale e politica. Scegliete una fede, giovani che mi ascoltate, se volete che la vostra vita non trascorra vuota, grigia e se non volete avere delle frustrazioni. Le frustrazioni, amico Bucalossi, portano sempre alla disperazione. Vedete io metto sempre a disagio i miei collaboratori, e forse anche il ministro Stammati, perché non mi attengo al protocollo. Un Presidente della Repubblica dovrebbe parlare inforcando gli occhiali, leggere quanto gli hanno scritto con molta compiutezza, ma vedete in questo mi trovo in ottima compagnia, perché anche il Papa Giovanni II la pensa come me, e quando l’ho visto recentemente mi ha detto: “Ma noi ci assomigliamo, perché anch’io sono contro il protocollo”. Mi si lasci parlare come mi detta il mio animo, altrimenti io mi taccio.
Datevi una fede, giovani, fate che il vostro cammino sia illuminato da una fede. Umilmente sottopongo alla vostra meditazione questa mia esperienza. Quando ero giovane come voi, io mi trovavo all’ergastolo di Santo Stefano. Stavo in una nuda cella e vedevo giorno per giorno scorrere il tempo, vedevo svanire i sogni più belli che il mio cuore anelava. Ebbene, giovani, nonostante questo io mi sentivo fiero ed orgoglioso, perché quella nuda cella era illuminata dalla luce che si irradiava dalla mia fede politica. Anche voi, nella buona e nella cattiva sorte, datevi una fede, fate che la vostra vita sia illuminata dalla luce di una vigorosa fede politica. Vedete, il coraggio voi potete dimostrarlo non usando la violenza materiale. Perché sono forse coraggiosi questi terroristi che ammazzano come i briganti attendendo la notte per ammazzare qualcuno per derubarlo? Vi parla uno che è sempre stato al vostro fianco. Io ieri quando attraversavo Cuneo ho provato grande gioia nel vedere tanti giovani e ragazzi vicini a me, quasi sentissero la mia vicinanza ideale. Il coraggio voi potete e dovete dimostrarlo nel difendere sempre la fede politica che arde nel vostro animo contro tutti e contro tutto. Il coraggio voi lo potete e lo dovete manifestare nell’affrontare la vita con il suo bene e il suo male; il coraggio voi lo potete e dovete dimostrare, giovani che mi ascoltate, nel difendere sempre questo bene prezioso che è la libertà, in ogni circostanza e contro chiunque tentasse di abbatterla…
Ecco, giovani che mi avete ascoltato, noi anziani stiamo camminando verso il tramonto, ma credetemi se dico che ci siamo battuti tutta la vita per il vostro domani. La nostra vita è rappresentata ormai dal nostro passato. E mi dovete credere se vi dico che questo nostro passato è stato intessuto più di rinunce che di soddisfazioni. Ma questo non ve lo dico accoratamente, ma con l’orgoglio di chi sa di avere combattuto, di chi sa di aver pagato un alto prezzo di sacrifici e rinunce perché voi poteste vedere un domani che noi, da giovani, non abbiamo potuto conoscere, di serenità e di felicità. Finché ci animerà un alito di vita noi anziani staremo al vostro fianco per abbattere gli ostacoli che sono sul vostro cammino, onde voi possiate percorrerlo con passo sicuro e spedito. Staremo al vostro fianco per batterci con voi. Ed a voi oggi noi consegnamo la bandiera della Resistenza. Consegniamo a voi il patrimonio politico morale della Resistenza, perché lo difendiate, perché possiate trarre da questo patrimonio le norme per la vostra vita e i principi per la vostra lotta politica, purché sia una lotta democratica, combattuta sul terreno della democrazia.
Ecco il mio saluto, giovani che mi ascoltate: avanti voi oggi perché l’avvenire è vostro. E con voi ora e sempre Resistenza!